La vicenda della maestra sospesa per aver aperto un profilo su OnlyFans ha sollevato un acceso dibattito, portando alla luce questioni fondamentali riguardanti il confine tra vita privata e professionale. Questo caso, che coinvolge una docente di una scuola materna cattolica nel Trevigiano, ha attirato l’attenzione non solo per il suo contenuto, ma anche per le implicazioni legali e sociali che ne derivano. Per approfondire questi aspetti, abbiamo interpellato l’avvocato Enrico Vella, esperto in diritto del lavoro, dello studio Trifirò & Partners.
La situazione della giovane maestra, bodybuilder e impiegata in una scuola materna di Treviso, rappresenta un caso emblematico delle nuove sfide legali nel mondo del lavoro. La docente è stata sospesa dopo la diffusione di contenuti personali su OnlyFans, una piattaforma nota per la pubblicazione di materiale per adulti. Questo episodio mette in evidenza le tensioni tra diritto alla privacy, libertà di espressione e obblighi professionali. Negli ultimi anni, la presenza dei dipendenti sui social media è diventata un tema di crescente interesse per i datori di lavoro, portando a controversie legali sempre più frequenti.
La peculiarità di questo caso risiede non solo nell’uso di una piattaforma controversa, ma anche nel contesto educativo in cui la maestra opera. La scuola materna, di ispirazione cattolica, ha un progetto educativo ben definito, il che amplifica le domande legate all’adeguatezza della condotta della docente. Le questioni giuridiche che emergono sono complesse e spaziano dall’estensione del potere disciplinare del datore di lavoro, all’utilizzabilità delle informazioni pubblicate, fino ai limiti della libertà personale del lavoratore.
È fondamentale comprendere che, nell’ambito della prestazione lavorativa, il lavoratore è vincolato da obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà. Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, le azioni del dipendente al di fuori dell’orario di lavoro possono influenzare il rapporto professionale. Questo perché esiste un “obbligo accessorio” che impone al lavoratore di non compiere atti che possano danneggiare l’immagine del datore di lavoro.
In pratica, questo obbligo si suddivide in due aspetti principali. Da un lato, il dipendente deve evitare di compromettere la reputazione e la credibilità dell’ente per cui lavora. Dall’altro, è necessaria la tutela del rapporto fiduciario, essenziale per ogni collaborazione lavorativa. In situazioni gravi, comportamenti extraprofessionali contrari a questi principi possono giustificare il licenziamento per giusta causa.
Tuttavia, non è possibile esercitare un controllo totale sulla vita privata dei lavoratori. I datori di lavoro e i giudici devono valutare con attenzione la gravità delle condotte segnalate e il loro impatto effettivo sul rapporto di lavoro, cercando di bilanciare libertà personale e responsabilità professionale.
La tipologia di datore di lavoro gioca un ruolo cruciale nella valutazione delle condotte private dei lavoratori. Nel settore pubblico, il Codice di comportamento stabilisce che i dipendenti non devono assumere comportamenti che possano compromettere l’immagine dell’amministrazione, anche sui social media. Interventi nella vita privata devono rispettare garanzie procedurali rigorose e il principio di proporzionalità.
Nel settore privato, la valutazione si basa sul contratto e sull’obbligo di fedeltà. Qui, il datore di lavoro ha maggiore discrezionalità, ma deve dimostrare che il comportamento extraprofessionale ha compromesso l’immagine aziendale. Negli enti di ispirazione, come le scuole cattoliche, la situazione è diversa; questi possono richiedere ai dipendenti di mantenere coerenza tra la loro condotta privata e i valori dell’organizzazione.
La differenza principale risiede nell’ampiezza del perimetro di valutazione della vita privata del lavoratore, che varia notevolmente a seconda del contesto lavorativo.
Nel settore privato, non esiste un obbligo generale di dichiarare tutte le attività svolte nel tempo libero al momento dell’assunzione, a meno che non siano previste specifiche clausole contrattuali. Al contrario, nel pubblico impiego, gli obblighi sono più restrittivi. Il Codice di comportamento impone ai dipendenti di comunicare eventuali collaborazioni retribuite, per prevenire conflitti d’interesse.
I provvedimenti disciplinari variano a seconda della gravità della situazione. Le misure possono andare dal richiamo verbale fino al licenziamento. La sospensione cautelare, già applicata nel caso della maestra, è una misura temporanea per valutare la situazione senza interrompere immediatamente il rapporto di lavoro. Il licenziamento è legittimo solo se la condotta ha compromesso il rapporto fiduciario o se viene dimostrata incompatibilità tra l’attività extraprofessionale e la missione educativa dell’istituto.
In generale, il datore di lavoro può richiedere la cancellazione dei contenuti o la chiusura dell’account su OnlyFans, ma non può imporre tale azione unilateralmente, salvo che i contenuti siano diffamatori. Se il comportamento extra professionale compromette il rapporto fiduciario, il datore di lavoro può formulare una richiesta, mantenendo il rispetto dei principi di buona fede.
Un codice etico ben strutturato, formalmente accettato all’inizio del rapporto di lavoro, può fungere da efficace strumento di prevenzione. Stabilire chiaramente le aspettative sui comportamenti dei dipendenti, anche nella sfera privata, aiuta a prevenire contenziosi e a garantire una maggiore consapevolezza reciproca.